Di Giulia Scirè

Di recente avrete forse sentito parlare degli importanti ritardi durante lo svolgimento del processo per corruzione a carico di ENI e Shell dovuti alla sostituzione dell’interprete per difficoltà riscontrate nell’interpretazione simultanea. In questo articolo tratterò proprio del ruolo dell’interprete e del traduttore in ambito giuridico-giudiziario, vero e proprio ponte tra persone di lingue e culture diverse, poiché è proprio nell’aula del Tribunale che si affermano, attraverso la lingua, due diritti fondamentali e inviolabili di ogni essere umano: il diritto alla difesa e il diritto ad un giusto processo.

Nel corso degli ultimi anni, soprattutto a causa dell’aumento dei flussi migratori verso il nostro Paese, si è assistito ad un incremento nel numero di stranieri coinvolti nei procedimenti legali, e più precisamente penali.

Come viene garantita l’assistenza linguistica in Europa e in Italia?

A livello europeo, per poter garantire un’assistenza adeguata anche ai cittadini stranieri, è stata emanata la direttiva 2010/64/UE sul diritto alla traduzione e all’interpretazione nel procedimento penale. Nel corso degli ultimi anni, l’Italia si è impegnata per adeguare il proprio ordinamento giuridico ai principi contenuti nella direttiva, che ha rappresentato una vera e propria svolta nel panorama europeo nell’ambito della cooperazione giudiziaria e della tutela del diritto alla difesa e ad un processo equo per ogni imputato o indagato alloglotta. Nonostante le alte aspettative, a livello nazionale, nei confronti dell’attuazione della direttiva europea, purtroppo non tutte le misure previste da quest’ultima sono state recepite nella legislazione italiana. In effetti, nel lavoro di revisione e modifica del codice di procedura penale volto ad accogliere le disposizioni della direttiva 2010/64/UE, la carenza maggiore riguarda il reclutamento degli interpreti. Uno dei meriti principali della direttiva è stato di avere previsto l’istituzione, in ogni Stato membro, di un registro nazionale di traduttori e interpreti qualificati per assicurare un servizio di traduzione e interpretazione adeguato e per facilitare l’accesso a tale servizio.

Cosa ha fatto l’Italia?

Seguendo le linee guida dettate dalla direttiva, il legislatore italiano avrebbe potuto stabilire la procedura per la creazione di un albo nazionale insieme ai requisiti da possedere per poterne fare parte. Questa possibilità, però, non è stata presa in considerazione dal decreto legislativo italiano per il recepimento della direttiva (D.Lgs. n. 32 del 4 marzo 2014), in cui si afferma soltanto che una sezione dedicata a traduttori e interpreti deve essere inserita nell’albo dei periti di ogni tribunale italiano. Nel complesso, l’Italia non è stata in grado di cogliere fino in fondo le possibilità di innovazione e tutela della qualità dell’assistenza linguistica offerte dalla direttiva europea, dimostrando di dover percorrere ancora molta strada prima di poter eccellere nell’interpretazione in ambito giuridico-giudiziario.

Per analizzare da vicino l’attuale realtà lavorativa, nel luglio del 2017, ho svolto un’indagine conoscitiva presso la Sezione Penale del Tribunale di Palermo.

Nell’ambito dell’indagine ho intervistato traduttori e interpreti iscritti all’albo dei periti, a cui ho chiesto di rispondere ad un questionario, contenente domande relative all’età, al sesso, alla formazione, all’esperienza lavorativa nel settore, alle tecniche di interpretazione utilizzate, alla percezione del ruolo di interpreti e traduttori, all’importanza di una conoscenza approfondita dell’ambito giuridico. Tutto ciò finalizzato ad ottenere un campione rappresentativo di interpreti e traduttori in ambito giuridico-giudiziario.

Cosa è emerso dalle risposte al questionario?

Come emerso da diverse ricerche, spesso il lavoro di interprete-traduttore in ambito giuridico-giudiziario non viene svolto da veri professionisti, ma da semplici conoscitori delle lingue straniere richieste che non hanno beneficiato di alcuna formazione adeguata. Tuttavia, nonostante il 45,8% degli intervistati presso il Tribunale di Palermo abbia dichiarato di non avere ricevuto alcun tipo di formazione prima di iniziare a lavorare come interprete-traduttore in ambito giuridico-giudiziario, i dati relativi alla formazione sono comunque confortanti. Infatti, 33 dei 59 interpreti-traduttori che hanno risposto al questionario hanno affermato di avere ricevuto una formazione accademica in Italia o all’estero. Ma l’aspetto più incoraggiante è che la maggior parte di essi possiede una laurea triennale, magistrale o un master in un ambito di studio pertinente alla professione svolta: mediazione linguistica, traduzione, interpretazione, lingue o giurisprudenza.

È scoraggiante osservare, invece, che tra gli interpreti-traduttori che non hanno seguito alcun percorso di formazione specifico prima di avvicinarsi alla professione non figurano solamente i parlanti di lingue “rare” – arabo, bengalese, bulgaro, ceco, rumeno, russo, serbo-croato – ma anche parlanti di francese, inglese, portoghese, spagnolo, tedesco, lingue per le quali si potrebbero reperire facilmente interpreti qualificati.

Tra le diverse difficoltà emerse dal questionario, spicca la mancanza di una distinzione, in ambito penale, tra la figura professionale dell’interprete e quella del traduttore. Ciò fa sì che, come affermato da alcuni soggetti intervistati, nonostante una persona sia specializzata esclusivamente in interpretazione o in traduzione, spesso venga convocata indistintamente per svolgere incarichi dell’uno o dell’altro tipo. In situazioni simili, gli intervistati hanno dichiarato di essere stati costretti a rifiutare l’incarico, non considerandosi sufficientemente competenti in un ambito non di propria specializzazione.

Inoltre, spesso, da parte delle autorità non viene prestata sufficiente attenzione alle varietà diatopiche delle lingue. Così, talvolta succede che gli interpreti si trovino a dovere tradurre varietà dialettali della propria lingua a loro sconosciute. Altri aspetti critici della professione evidenziati dagli interpreti-traduttori del Tribunale di Palermo riguardano il fatto di non ricevere informazioni sufficienti sui diversi casi per consentire una preparazione adeguata, e il fatto che le autorità continuino a rivolgersi ad interpreti e traduttori non qualificati. Infine, l’aspetto più critico evidenziato riguarda la remunerazione, ritenuta non proporzionata all’importanza e alle responsabilità derivanti dal loro ruolo.

Questa indagine mi ha permesso di ottenere un quadro complessivo del contesto e delle condizioni in cui si svolge l’assistenza linguistica presso il Tribunale di Palermo. I dati emersi dalle risposte al questionario si avvicinano a quelli ottenuti nell’ambito di altre indagini condotte sul territorio italiano o di progetti a livello europeo. È possibile affermare, quindi, che le caratteristiche e le criticità evidenziate non riguardano esclusivamente il Foro di Palermo, ma l’intero settore della giustizia a livello nazionale.

Bibliografia

MOMETTI F. (2014), “Il diritto all’assistenza linguistica dell’imputato straniero nel procedimento penale. Indagine conoscitiva presso il Tribunale di Trieste”, in FALBO C. & VIEZZI M., Traduzione e interpretazione per la società e le istituzioni, pp. 41-58

SANDRELLI A. (2011), “Gli interpreti presso il Tribunale penale di Roma”, in InTRAlinea online translation journal vol. 13

http://www.intralinea.org/archive/article/1670

Decreto legislativo n. 32 del 4 marzo 2014

http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/03/18/14G00041/sg%20   

Direttiva 2010/64/UE

https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:280:0001:0007:it:PDF

ISTAT – Cittadini stranieri residenti in Italia 2017

http://www.tuttitalia.it/statistiche/cittadini-stranieri-2017/   

Recepimento direttiva 2010/64/UE

http://eur-lex.europa.eu/legalcontent/EN/NIM/?uri=CELEX:32010L0064   

 

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