Di Virginia Zettin –

Fisco e liberi professionisti – Vademecum per interpreti/traduttori (e non solo)

Come troverò i miei clienti? È questo principale dubbio che attanaglia tutti i temerari che si accingono verso la carriera da interprete-traduttore libero professionista, o freelance che dir si voglia.

Certo, perché quando si intraprende un nuovo percorso, il primo passo è sempre quello più difficile. Ma la via che spetta ai professionisti del nostro settore – come quella di un po’ tutti i freelancer – è tutt’altro che in discesa. Nonostante le immense soddisfazioni, le sfide da affrontare saranno tante e continue. Prima fra tutte il riuscire a barcamenarsi con la gestione degli oneri fiscali.

Tasse, bolli, fatture e ricevute: un mare magnum di “complicazioni” a cui non pensiamo nemmeno quando ci immaginiamo romanticamente immersi a scrivere fino a notte fonda con a fianco una bella tazza di caffè caldo fumante o gesticolanti nel calduccio di quella claustrofobica cabina che per noi vale più di un’astronave. Perché, diciamocelo, il fisco non è certo all’ordine del giorno nelle nostre intense lezioni alle Scuole per Interpreti, eppure è destinato – nel bene o nel male – a diventare ben presto il nostro pane quotidiano. Non appena troviamo il nostro primo cliente. Se non addirittura ancora prima. E, soprattutto quando si è agli inizi, le sorprese sono destinate a continuare per un bel po’. Almeno fino al fatidico momento della prima dichiarazione dei redditi.

Questo vademecum nasce quindi proprio per aiutare i professionisti alle prime armi a iniziare a farsi strada lungo questo impervio cammino. Ma può essere usato anche dai freelancer già avviati come check-up list di ripasso. Buona lettura e buon lavoro!

Partiva Iva o Prestazione Occasionale? Questo è il dilemma

La Partita Iva, croce e delizia di tutti noi liberi professionisti. Ci dà la possibilità organizzarci il lavoro con massima flessibilità, di arricchire il nostro bagaglio professionale con le più variegate esperienze – che possono essere totalmente differenti anche dall’oggi al domani – e di gestirci autonomamente i nostri guadagni (o quasi: non dimentichiamoci del nostro migliore amico, il Commercialista).

Ma, a proposito di guadagni, saremo così autonomi da doverci pagare in prima persona le tasse sugli incassi e i contributi – a differenza dei lavoratori dipendenti a cui vengono decurtati direttamente dallo stipendio, oltre che concesse ferie e malattie retribuite (ma questo è un altro discorso). Flat tax o meno potremmo dire che, a conti fatti, il nostro incasso mediamente sarà ridotto del 30% (considerando anche i contributi da versare appunto). Ecco perché la scelta del proprio regime fiscale è un cruccio fondamentale per chi si accinge a intraprendere il peregrinaggio del libero professionismo.

Per prima cosa bisogna sapere che, anche se la Partiva Iva è uno strumento necessario per chi vuole svolgere un mestiere freelance in maniera sistematica e professionale, non è obbligatorio aprirla sin dall’inizio. O meglio, è obbligatorio aprire la Partita Iva al raggiungimento di 5.000 euro lordi annui d’incasso. Fino ad allora potete utilizzare la Prestazione Occasionale, ovvero emettere una semplice ricevuta, sul cui importo sarà il cliente committente a pagare il 20% di tasse al Fisco (la ritenuta d’acconto). Attenzione però: come dice già il nome stesso, la Prestazione Occasionale si basa sul Principio di Occasionalità, relativo dunque al compimento di un’attività una tantum o quasi. Questo implica fondamentalmente due cose:

  • che l’attività non deve essere svolta regolarmente, sia dal punto di vista temporale (non si possono emettere ricevute per prestazione occasionale ogni giorno per dire…né ogni due, ecco), sia da quello collaborativo (nel senso che se emetto frequentemente – ovvero oltre al massimo di 30 giorni all’anno – ricevute per lo stesso cliente il rapporto non diventa più occasionale);
  • ma, d’altro canto, trattandosi appunto di uno strumento per regolare le collaborazioni occasionali, se presterò un unico servizio di lavoro autonomo all’anno, la relativa ricevuta emessa in quel caso potrà anche superare la fatidica soglia dei 5.000 euro.

Quest’ultimo non dovrebbe essere il caso dei futuri traduttori-interpreti professionisti, i quali, invece, potrebbero appunto avvalersi della Prestazione Occasionale per svolgere le prime esperienze lavorative e sondare il terreno prima di fare il grande passo. Per loro il superamento della soglia dei 5.000 euro e la necessità di aprire la Partita Iva sarà piuttosto un po’ come l’ingresso nel mondo dei grandi. Che però avviene in modo graduale. Non solo perché c’è sempre da imparare, ma anche perché la stessa categoria delle Partite Iva è divisa in due grandi gruppi: regime forfettario e regime ordinario.

Ordinario, forfettario e dove trovarli

Per chi sceglie di aprire la Partita Iva (o di mantenerla dopo anni di attività), l’iscrizione al regime ordinario o a quello forfettario non avviene su base opzionale. Non si tratta infatti di una scelta ponderata, ma piuttosto di una decisione obbligata da determinati criteri. In particolare, si ha l’obbligo di aderire al regime ordinario – che tra le varie differenze con il forfettario non prevede solo la possibilità di “fatturazione infinita”, ma anche l’obbligo di pagamento dell’IRPEF (in misura proporzionale al reddito) e dell’IVA – quando:

  • Il guadagno da lavoro autonomo supera i 65.000 euro lordi all’anno (non più i fatidici 50.000 euro, perché la Legge di Bilancio 2019, con la così detta “mini flat tax”, ha esteso il bacino del forfettario a questa nuova soglia reddituale);

La Legge di Bilancio 2019 ha inoltre abrogato il limite del guadagno da lavoratore dipendente a 30.000 euro lordi all’anno, nonché i limiti sui costi per i propri dipendenti e sulle spese per i beni accessori, punti che però non dovrebbero riguardare la categoria degli interpreti e traduttori, che normalmente non hanno dipendenti a carico, né grosse spese per beni strumentali (di solito ne sostengono una tantum, come il costo per l’acquisto del pc, ad esempio). Essendo praticamente scontato che al momento dell’avvio della propria attività non si riesca a raggiungere la soglia dei 65.000 mila euro, è pressoché ovvio che si inizi con il regime forfettario, sul quale ci concentreremo d’ora in avanti. I principali punti cardine che lo caratterizzano e lo differenziano dall’ordinario sono:

  • L’esenzione dal pagamento dell’IRPEF e dell’IVA (che non andrà neanche messa in fattura, rendendo le tariffe dei forfettari più convenienti per i loro clienti);
  • Il pagamento di una sola imposta sostitutiva del 5% (15% dopo i primi 5 anni di attività);
  • La detrazione fiscale forfettaria del 22% (ciò significa che il 22% dei propri guadagni sarà esente tasse, a prescindere dalle spese effettive sostenute nell’arco dell’anno lavorativo. Questo può essere un vantaggio per chi come gli interpreti e traduttori ha solitamente costi relativamente bassi da sostenere. Ma attenzione: trattandosi di una percentuale forfettaria, questo 22% congloba in sé ogni possibile spesa detraibile. Ergo: le spese mediche, ad esempio, non vanno detratte separatamente, quindi, de facto, non sono detraibili);

Oltre a ciò va considerato che, sia i regimi ordinari che i regimi forfettari, insieme al pagamento delle imposte devono provvedere anche a versarsi i contributi. E come? Premesso che per avviare la propria attività da libero professionista, oltre a registrarsi presso l’Agenzia delle Entrate (tramite l’apposita e semplicissima procedura a costo zero) bisogna anche iscriversi alla gestione separata INPS (sempre a costo zero), al momento del pagamento delle tasse riceveremo sia l’Unico (dove viene calcolato il 5% forfettario) che l’F24 per il pagamento dei contributi, che per i liberi professionisti è previsto al 25,72%. Ecco perché inizialmente si faceva riferimento a un decurtamento dei guadagni di circa il 30%. Per effettuare un calcolo il più verosimile possibile di quanto si andrà a pagare è consigliabile basarsi sulla seguente formula:

(TOTALE GUADAGNI – 22% DI DETRAZIONE FORFETTARIA) – 25,72 DI IMPOSTE + INPS

E io pago!

Una volta compreso cosa e quanto bisogna pagare non resta che capire quando si debba farlo.

*Spoiler: la lettura delle prossime righe non è adatta ai deboli di cuore. Scherzi a parte, se già vi siete spaventati dall’ammontare delle imposte da pagare, non vi rassicurerà certo il fatto che dovrete pagarle ben due volte all’anno. Anzi, questa informazione probabilmente smonterà l’entusiasmo anche di chi fino a ora era rimasto con l’umore alto. Vabbé, come si dice: se non uccide fortifica. Ma quali sono le fatidiche date e perché?

  • Entro il 30 giugno normalmente si paga il saldo per i guadagni dell’anno precedente (si parla di saldo perché di solito una parte viene già anticipata: solamente il primo anno vi troverete a pagare tutta una “botta” in colpo solo, e anche se questa gli anni successivi sarà alleggerita, avrete comunque un secondo contraccolpo perché…)
  • Entro il 30 novembre bisogna pagare l’acconto del 60% per l’anno successivo. La percentuale viene calcolata sui guadagni dichiarati nell’anno in corso. Ad esempio, nel novembre 2018 i liberi professionisti hanno pagato un acconto del 60% che va coprire in parte il saldo sui guadagni del 2018 che verseranno a giugno 2019. Il 60% dovuto è stato calcolato sulla base di quanto dichiarato nella primavera del 2018 per pagare il famoso Unico entro il 30 giugno 2018 (dichiarazione che equivaleva al totale dei guadagni percepiti e nel 2017). Se tuttavia, i guadagni sono diminuiti da un anno all’altro a giugno sarete voi a essere “creditori” nei confronti del Fisco, che vi dovrà rimborsare dell’eccedenza anticipata.

Date a Cesare ciò che è di Cesare – Ergo come farsi pagare

Una volta compreso cosa, quanto e quando dobbiamo pagare è lecito domandarsi come farsi pagare. Non avendo vincoli contrattuali che ci legano ai nostri clienti, è importante emettere subito la nostra fattura e allegarla sempre al momento della consegna del lavoro, perché, non solo è obbligatoria per legge, ma è anche un documento ufficiale che attesta l’esecuzione del nostro incarico e dunque il nostro diritto a essere pagati. Come va scritta una fattura? Qual è l’iter di consegna e archiviazione?

Diversamente dalla ricevuta per prestazione occasionale, di cui talvolta viene consegnato un modulo precompilabile dall’azienda committente, la redazione della fattura spetta completamente al professionista. Tuttavia, non preoccupatevi, perché – anche se non esiste un modello standard – è molto più facile di quanto sembri. La fattura deve contenere infatti pochi dati (che però devono essere scritti in maniera chiara e comprensibile), che per altro rimangono praticamente sempre gli stessi, ovvero:

  • I dati dell’intestatario (nome e cognome, indirizzo e Partita Iva);
  • I dati del destinatario (nome e cognome o nome dell’azienda, indirizzo e Partita Iva o Codice Fiscale se è un privato);
  • L’elenco dei servizi svolti comprensivi dei singoli costi;
  • L’imponibile (ovvero il totale dei singoli costi)
  • Il 4% INPS (si tratta di una maggiorazione opzionale che si può addizionare alla somma dei servizi messi in conto, come contributo per il pagamento dell’INPS. Attenzione: una volta inserito in una fattura è obbligatorio metterlo anche in TUTTE quelle successive. Inoltre, pur andando scritto dopo la dicitura “imponibile”, trattandosi di un’aggiunta opzionale, verrà comunque calcolato nella somma di guadagni imponibili, quindi nel totale tassabile a fine anno);
  • Il totale (dato dall’imponibile + il 4% INPS)
  • Le modalità di pagamento (con cui si indica come, quando, dove si intende essere pagati. Ad esempio, si può specificare che si vuole essere pagati tramite bonifico bancario entro tot giorni. I termini di scadenza di pagamento però sono puramente informativi, nel senso che al loro scadere si può solo iniziare a sollecitare il cliente, ma non esiste una multa per i ritardi o una penale di alcun tipo. Importante: non dimenticarsi di indicare il codice IBAN!)
  • Inoltre, se si tratta di una fattura emessa da un forfettario, va indicata l’esenzione IVA con la seguente dicitura: Operazione in franchigia da IVA ex art. 1 c. 58 Legge 190/2014. Compenso non assoggettato a ritenuta d’acconto in quanto assoggettato ad imposta sostitutiva ex art. 1 c. 58 Legge 190/2014
  • Infine, se la fattura è indirizzata a un cliente estero andrà inserita anche questa frase: Operazione eseguita ai sensi dell’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972 – Reverse charge

Una buona idea può essere quella di salvarsi un modello di fattura “vuoto”, da compilare di volta in volta con i dati relativi a quello specifico incarico. Una volta redatta, la fattura può essere inviata via email come semplice documento Word o PDF assieme al testo tradotto o, in caso di un’interpretazione, si può concordare con il cliente se inviarla telematicamente (prima o dopo la/e giornata/e lavorative) o consegnarla a mano in occasione delle stesse.

N.B. Su tutte le fatture con un importo totale pari o superiore a 77,47 euro va applicata una marca da bollo da 2,00 euro. La marca è acquistabile presso una qualsiasi tabaccheria e deve avere una data antecedente (o al massimo coincidente) a quella di emissione della fattura, pena una multa per il professionista. Ecco perché è consigliabile acquistare di volta in volta dei blocchetti di marche da bollo da avere a portata di mano nel momento del bisogno. Tutte le fatture con marca da bollo vanno inoltre spedite/consegnate in originale cartaceo al cliente, che avrà il compito di archiviarle. Il professionista dovrà in ogni caso registrarsi il codice di ciascuna marca da bollo (una buona pratica può essere ad esempio quella di scannerizzare tutte le originali prima di spedirle).

Noi, liberi professionisti piccoli Will Hunting in erba

I liberi professionisti molto spesso sono degli spiriti creativi, con menti in continuo fermento, che si avvalgono dell’esercizio della professione autonoma per poter svolgere una vasta gamma di attività, esorcizzando la noia e dando carta bianca (o quasi) al loro estro da piccoli geni ribelli alla Will Hunting. Insomma, uno dei vantaggi della Partita Iva è che ci permette di spaziare tra più attività, anche solo per rispondere alla meno poetica necessità di far quadrare i conti o per poter mettere in pratica le nostre competenze, che ben spesso sono fluide e trasversali. Pensiamo, ad esempio, al caso dei laureati alle Scuole per Interpreti che nella maggior parte dei casi lavorano sia come interpreti, che traduttori che insegnanti di lingue. Ecco allora un paio di considerazioni utili per chi volesse seguire questa strada:

  • Bisogna fare sempre attenzione a registrare sulla propria Partita Iva tutte le attività che si intendono svolgere. Ovvero ad ogni “gruppo di attività” corrisponde un codice e, per questo, al momento dell’apertura della Partita Iva, vanno indicati all’Agenzia delle Entrate tutti i tipi di servizi che si vorranno eseguire, così da assegnare alla vostra Partita Iva tutti i relativi codici (ad esempio, le traduzioni e l’interpretazione rientrano nello stesso codice, che è diverso però per quello relativo all’insegnamento delle lingue). Questo va fatto perché ognuno può emettere fatture solo per le attività per le quali si è registrato. Tuttavia, se volete ampliare la vostra gamma di servizi in corso d’opera (cosa non rara), basterà comunicarlo all’Agenzia delle Entrate (anche tramite il vostro commercialista) che provvederà ad aggiungervi un nuovo codice. Inoltre potete verificare voi stessi i codici di ogni attività tramite questo portale. Infine, va detto che i vari codici possono avere oneri fiscali leggermente diversi, ma in caso di disparità si considera sempre quello più alto (per questi e altri dettagli tecnici però è consigliabile rivolgersi al vostro commercialista).
  • Come già menzionato in precedenza si può avere un contratto da dipendente anche con la Partita Iva aperta (molti traduttori, ad esempio, svolgono anche dei lavori part-time). Tuttavia, se il guadagno da dipendente supera i 30.000 euro lordi all’anno (come già detto), si entra obbligatoriamente nel regime ordinario. Inoltre i possessori di Partiva Iva non possono stipulare contratti di stage (né Garanzia Giovani o simili), perché destinati esclusivamente all’assunzione di disoccupati/inoccupati (cioè non sono possibili né per studenti né lavoratori autonomi). Gli unici tirocini ammessi anche per chi ha Partita Iva sono quelli formativi (che rientrano nell’ambito di un corso di studi, anche un Master post-laurea per dire), che non prevedono alcuno stipendio.
  • Infine bisogna fare sempre attenzione e valutare le proposte che ci vengono fatte proprio in quanto possessori di Partita Iva. Infatti, essendoci, oggigiorno, sempre più lavoratori – per voglia o per necessità – autonomi, non di rado le aziende, a chi già è freelancer, offrono in sede di colloquio di lavorare per loro a Partita Iva, anche se la posizione era stata designata originariamente per un contratto vero e proprio. Questo per l’azienda costituirebbe ovviamente un grande vantaggio: avere un professionista fisso nel proprio organico a cui non dover versare i contributi né pagare le ferie o la malattia. Tuttavia, per essere uno scambio equo, dovrebbe corrispondere anche a dei diritti per il lavoratore. Un tempo, ad esempio, i liberi professionisti venivano ingaggiati dalle aziende per portare le loro competenze all’interno della realizzazione di un progetto. Lavoravano, appunto, “a progetto” avendo un certo compito da svolgere entro un determinato periodo di tempo, all’interno del quale potevano regolarsi autonomamente, in primo luogo con gli orari di lavoro. Questo tipo di collaborazione è diventata sempre più desueta, assimilando sempre di più la figura dei professionisti a quella dei dipendenti dell’azienda. Ciò che però tutt’ora deve essere rispettato è il fatto che, dovendosi tra le altre cose pagare autonomamente le imposte e contributi, i liberi professionisti dovrebbero ricevere in fattura un compenso maggiore rispetto al corrispettivo per la stessa mansione in busta paga. Ecco perché è meglio diffidare di chi vi offre pari condizioni e pari stipendio, ma a fattura: si tratta di un rapporto a due pesi e due misure che corrisponde implicitamente a meno diritti per voi.

8 Replies to “Fisco e Partita IVA per interpreti e traduttori”

  1. Bell’articolo, mi avrebbe fatto comodo un anno fa quando decisi di passare dalla ritenuta d’acconto alla Partita I.V.A!

  2. Buongiorno Virginia,
    ho recentemente iniziato a lavorare come traduttrice freelance ed ho trovato i miei lavori tramite Upwork. Adesso mi trovo nella situazione di dover svolgere due lavori per lo stesso cliente finale nell’arco di 10 giorni. A questo punto sono obbligata ad aprire la partita Iva. E’ corretto? Grazie mille

    1. Ciao Maria,

      dovrai aprire partita IVA obbligatoriamente una volta superato il tetto di 5.000€ annui previsto per le prestazioni occasionali, indipendentemente dal numero di incarichi commissionati dallo stesso cliente. Spero di essere stata utile, a presto, Maria Laura

  3. ciao Virginia. Mi chiamo Adriana, sono interprete e traduttore. Il tuo articolo è molto esaustivo ma cmq in me regna la confusione totale…sarà perché sono proprio negata di argomenti fiscali!!! Allora, io lavoro senza IVA e per quanto riguarda la ricevuta di prestazione occasionale senza ritenuta d’acconto volevo sapere se poi in questo caso dovrei dichiarare in sede della dichiarazione dei redditi. ho lavorato sempre tramite agenzie o cooperative ai quali ho rilasciato la ricevuta di lavoro autonomo occasionale con ritenuta d’acconto le quali poi all’inizio dell’anno successivo mi hanno rilasciato il modello unico per presentare in sede di dichiarazione dei redditi… Sono molto confusa. scusa se mi sono allungata.. se sai in qualche modo darmi qualche dritta.
    grazie infinite.

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