Di Maria Laura Morgione –

Partiamo dalla fine, da alcune conseguenze:

Il dualismo, la differenza sostanziale fra corpo e anima pervade la comprensione della realtà dell’uomo occidentale. E se questa differenza non esistesse da sempre, anzi fosse addirittura un’invenzione relativamente recente?

Fino a poco più di 50 anni fa, chi aveva la sfortuna di possedere un’anima malata veniva rinchiuso in manicomi, imbottito di calmanti, eventualmente percosso, lobotomizzato, sottoposto a elettroshock.

Ma perché fino a una manciata di anni fa si facevano cose che oggi consideriamo ripugnanti? Si faceva così poiché ai tempi se avevi male a una gamba potevi andare dal medico che te la curava. Ma se il problema ce l’avevi all’anima il medico poteva al massimo stilare un certificato in cui attestare che il tuo corpo era perfettamente sano. Anima e corpo erano considerate due cose distinte ed era questo che Freud aveva imparato all’Università come tutti i suoi colleghi medici.

Il trattamento riservato ai pazzi, tuttavia, non era sempre stato questo. Nel medioevo e anche oltre, quelli che chiamiamo folli erano considerati come una delle molteplici manifestazioni del reale. I pazzi vivevano come i sani e con i sani. I folli venivano considerati una variazione sul tema della normalità. La normalità, da questo punto di vista, era molto più inclusiva di come lo è oggi.

Il problema medico dell’opposizione fra corpo e anima ce lo trasciniamo dietro anche oggi e a poco serve l’introduzione contemporanea di alcuni canotti di salvataggio come i malesseri “psicosomatici”: se litigo con qualcuno mi prende immediatamente un mal di testa lancinante, se il lavoro mi pesa comincio a digerire male, se qualcuno mi urla in faccia divento paonazzo per via della dilatazione dei vasi. Per uscire dall’impasse, un gruppo di filosofi tra cui Foucault propone di abbandonare il dualismo tra corpo e spirito proponendo un dualismo corpo-mondo. Il nostro corpo, inteso in maniera unitaria, reagirebbe agli stimoli esterni tramite manifestazioni di vario tipo.

Non esistono i sinonimi

Una parola non vale l’altra. Una parola, come i linguisti sanno, può portarsi dietro un pesante bagaglio personale o, addirittura, collettivo. Prendiamo una parola semplice che i bimbi imparano quasi fin da subito: casa. Le reazioni individuali a questa parola sono potenzialmente infinite. In base alle esperienze di ciascuno di noi, essa può essere connotata come “protezione”, “rifugio”, “tranquillità” nonché da idee che indicano il loro opposto. A livello collettivo, la connotazione di casa di uno statunitense medio è, per forza di cose, diversa da quella di un abitante del Madagascar.

I linguisti sanno che le parole suscitano idee di mondo diverse in base al parlante che le usa. Queste idee del mondo sono influenzate dal mondo che il singolo parlante conosce.

L’anima della Bibbia

Fatte queste premesse, arriviamo alla questione traduttiva. La Bibbia che ci è giunta proviene da una traduzione dall’aramaico in greco. Nella versione originale, nonché in tutta la tradizione giudaico-cristiana il concetto di “anima” non esisteva affatto. Esisteva, invece, il concetto di Nefesh (נפש) che in quella versione della Bibbia risulta ripetuto 755 volte, delle quali in greco per 600 volte è tradotto come Psyché ψυχή, l’anima. Gli studiosi affermano che gli ebrei non credevano a una sopravvivenza dopo la morte. Eppure per molti di noi oggi è così. Umberto Galimberti ha approfondito ripetutamente la questione.

E allora cosa vuol dire Nefesh?

Nefesh può voler dire tante cose in base al contesto. Può significare sia gola, sia vita. Se a Nefesh si aggiunge l’accezione “morta”, allora può intendere il cadavere.

Quando questa parola difficile da tradurre è stata trasposta in greco con Psyché, si è portata con sé tutto il mondo dell’anima platonica. Ricordate la questione della casa? È stato un po’ come tradurre casa con castello oppure catapecchia oppure casa in fiamme.

Tuttavia neanche Platone la intendeva come la intendiamo oggi: il concetto di Psyché per il filosofo greco era asservito alla conoscenza. Per Platone l’anima era contrapposta al corpo materiale nel senso che per conoscere non dobbiamo essere influenzati dai sensi soggettivi, ma tendere a un’analisi oggettiva delle cose facendo affidamento sulla nostra anima, non sul nostro corpo. Per intenderci: se mettessimo una caffettiera in mano a 10 persone e chiedessimo loro di dire quanto pesi, otterremmo 10 valutazioni soggettive. Per evitare questa soggettività, Platone propone un mondo fatto di “Idee”, intese come concetti astratti, numeri, fenomeni valutabili, misurabili.

Con queste premesse, l’anima entra nel mondo occidentale. Il concetto subisce altre evoluzioni nel corso dei secoli e arriva fino ai giorni nostri così come lo conosciamo.

Ricapitolando: una sola parola, un solo errore di traduzione può creare un mondo concreto e influenzare fattivamente la vita, le idee, le opinioni, le visioni del mondo di miliardi di persone nel corso dei secoli.

Alla fine dei conti, a che servirà mai il contesto?

I traduttori sanno che è molto rischioso rispondere a domande simili a: “Come si traduce la parola XY?”. Perché se io vi dico “Scatola” voi vi formate in testa un concetto che magari sarà stereotipato, però piuttosto chiaro, di quello che intendo. Tuttavia, si leverebbe un coro di “aaaah” se aggiungessi la parolina “cranica”. Dunque la comunicazione è profondamente influenzata dal contesto. E le influenze del contesto in caso di comunicazione interlinguistica possono essere gestite solo da professionisti molto esperti.

Come vendere agli handicappati

Per concludere, passiamo a un esempio concreto e molto semplice. Per i francesi la parola “handicapé” è ancora piuttosto usata nel linguaggio comune per indicare le persone disabili. Supponiamo che un’azienda francese sia intenzionata a vendere dei prodotti rivolti alle persone disabili in Italia e pronta a tradurre tutta la documentazione in italiano. Con molte probabilità l’azienda non venderebbe neanche un bottone in Italia se il traduttore facesse continuamente riferimento agli utenti come a degli handicappati. Di esempi di questo genere ce ne sono a bizzeffe.

One Reply to “L’anima: un errore di traduzione?”

  1. Ottima analisi! Vorrei aggiungere una riflessione…
    Citando sempre la bibbia, la parola nefesh la troviamo alle origini dell’uomo. Gli soffiò nelle narici l’alito della vita ed egli divenne un’anima(nefesh essere vivente). Separare l’uomo dall’anima credo sia servito ad avvalorare la teoria della vita oltre la morte del corpo. Da qui la figura di un clero sempre più importante che serviva da tramite avendo il potere di intercessione.
    Purtroppo qui, assieme al potere, entrerebbe in ballo anche una questione economica. Donazioni, offerte e altro per assicurarsi una vita serena per la propria anima nell’aldilà.

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