Di Ilaria Pedrinelli

Sembra una frase un po’ drammatica, ma può davvero essere così!

Pensiamo agli uffici in cui avvengono le audizioni per il riconoscimento della protezione internazionale. Al richiedente viene chiesto di raccontare dettagliatamente la sua storia, perché ha lasciato il suo paese e quali potrebbero essere i rischi che affronterebbe se dovesse tornarci in futuro. Un commissario, con l’aiuto di un interprete nella lingua di origine del richiedente, pone delle domande standard e cerca di tastare il terreno per capire se questa persona ha effettivamente diritto alla protezione internazionale.

Immaginate lo stato d’animo, la pressione, di un interprete che con il suo blocco si accinge a riportare tutto ciò che il richiedente dice. Innanzitutto, le storie che raccontano, come potrete ben immaginare, sono molto delicate e con un grande impatto emotivo, altrimenti non avrebbero bisogno di scappare dal loro paese. Spesso, quindi, l’emozione, la voce rotta o il pianto (e, in questo momento storico, la mascherina che copre naso e bocca) rendono pressoché impossibile riuscire a capire quello di cui si parla.

Inoltre, andando contro tutti i dictat della professione, i commissari richiedono che la traduzione avvenga parola per parola, senza modifiche, perché ogni parola potrebbe avere un peso specifico nel discorso. A volte poi il livello di istruzione dei richiedenti non è alto, e il loro modo di esprimersi non è quello accademico che insegnano a scuola. Ad esempio, un richiedente dal sud America, dopo aver sostenuto a più riprese di non aver mai avuto contatti con i criminali locali, disse questa frase “me cayó la llamada”. Frase molto ambigua: significa che è caduta la linea, quindi lui aveva risposto e aveva avuto contatti con i criminali contraddicendo quello che aveva sostenuto fino a quel momento, o semplicemente voleva dire che aveva ricevuto una telefonata? Una pessima traduzione potrebbe davvero cambiare tutto il senso del discorso e le sorti di una persona.

Pensate che chiedere il pizzo sia un’“usanza” solo italiana? Vi sbagliate. Anche in Sud America si verificano molti fenomeni di strozzinaggio. Ogni paese ha però una sua terminologia. Renta in El Salvador o cupo in Perù. In castigliano renta significa però affitto, reddito, cupo invece significa contingente. Per cui se un interprete non fosse ben preparato e non sapesse queste sfumature di significato, potrebbe intendere (e tradurre) che i criminali chiedevano l’affitto e non il pizzo. Ovviamente c’è un’abissale differenza!

Un buon interprete, inoltre, sa che non si può in alcun modo dare giudizi o influenzare la piega del discorso. È normale, a mio avviso, che si crei empatia con le persone che si hanno davanti, soprattutto se le loro storie personali sono tutt’altro che facili, ma al momento della traduzione ci deve essere il massimo distacco. Per esempio, se l’interprete si accorge che ci sono delle incongruenze con quanto detto fino ad ora, non può farlo presente, può semmai chiedere cortesemente di ripetere per accertarsi di aver capito bene e infine riportare il messaggio esattamente com’è stato pronunciato. Sarà poi compito del commissario verificare l’incongruenza.

Ça va sans dire che l’interprete è obbligato alla massima riservatezza delle informazioni sensibili trattate durante queste audizioni.

Nel suo piccolo, un interprete può dire di aver contribuito ad un cambiamento, se non ad un miglioramento, della vita di qualcuno!

Queste sono le piccole ma grandi soddisfazioni del nostro meraviglioso mestiere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *