Di Claudia Redigolo

Quanto conta l’esperienza all’estero per un traduttore e/o interprete? Questa domanda se la pongono in tanti, già da quando si studia inglese alle scuole superiori…sarà bene mandare il proprio figlio a fare le classiche due settimane estive a Londra?

Sicuramente vivere un’esperienza di studio all’estero è  importante sotto molti punti di vista, ma quando si decide di fare delle lingue straniere la propria professione diventa una necessità. E non solo perché vivendo per un periodo in un certo paese ci si può mettere alla prova e capire, parlare meglio la lingua, ma anche perché si viene a contatto con tutta una serie di realia, di aspetti culturali che non si ha il tempo di studiare sui libri e che spesso non vengono neanche presi in considerazione durante gli studi universitari. Questi aspetti possono diventare importanti e addirittura fondamentali durante l’interpretariato, per entrare in sintonia con l’interlocutore straniero ed evitare gaffe alla controparte italiana. Ad esempio, evitando di ordinare un catering a base di affettati se lo straniero è uzbeko, quindi quasi sicuramente di religione musulmana.

In altri casi è solo l’esperienza sul campo che permette di tradurre correttamente certe espressioni, certi modi di dire, di cogliere certe citazioni letterarie che sono note all’interlocutore di madrelingua straniera perché studiate sin dalle elementari. Di recente, nel sottotitolare un film, mi è capitato che un personaggio secondario recitasse parti di una poesia di Puškin, che gran parte dei quarantenni di oggi conosce a memoria, perché studiata a scuola. Questo mi ha permesso di risparmiare una gran quantità di tempo nel cercare la fonte della citazione e, soprattutto, di evitare di tradurla letteralmente, perdendo così completamente il riferimento al poeta russo.

Un’altra volta, durante un interpretariato su Skype, un professore di medicina russo, stava descrivendo l’importanza di certi alimenti nell’alimentazione e, per fare un esempio, ha citato il nome Hercules. Mi fosse successo una decina di anni fa non avrei mai colto l’allusione a una delle più note marche russe di fiocchi d’avena, Hercules appunto. E avrei dovuto interrompere l’oratore per chiedere delucidazioni.

Quindi sì, un’esperienza di studio o di lavoro all’estero serve davvero a un traduttore per poter immergersi nei realia di quel paese, nelle sue usanze e abitudini. Ad esempio per capire che una cliente russa si aspetterà che le si apra la porta e le si porga la giacca. A volte è il vostro interprete a fare la differenza, perché sarà non solo il traduttore delle vostre parole, ma anche la vostra guida nel mondo della controparte, assistendovi affinché la comprensione sia totale. E ricordate: affidatevi solo a professionisti!

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