Di Maria Laura Morgione –

Quasi per caso oggi posso tradurre Viktor Tsoy. Quasi per caso sono diventata interprete di russo.

Ricordo l’Aula Magna gremita per la riunione di orientamento a inizio anno accademico. Ci consigliarono di puntare sulle lingue slave per assicurarci dei seri sbocchi occupazionali e non avevano torto. Però ai futuri “russisti” non dissero che di lì a breve le lezioni dell’austera professoressa  Mila Nortman avrebbero affollato gli incubi di molti e ne avrebbero costretti alcuni ad ingerire cospicue quantità di fiori di Bach, mentre altri avrebbero iniziato a fare yoga per sopportare il carico di stress a cui costringeva tutti, nessuno escluso. Io, ad essere sincera, le lezioni le seguivo di rado e passavo gli esami con grande disappunto de “La Mila” dopo prolungati soggiorni in Russia. You know, bisogna adottare soluzioni punk per sopravvivere.

Ma alla riunione di orientamento non ci dissero neanche che studiare il russo significava far entrare nelle nostre testoline occidentali una ventata di rumori, sapori, passioni e sentimenti diversi, sebbene geograficamente vicinissimi.

Per me, Viktor Tsoy, osannato cantante sovietico, il più conosciuto di tutti i tempi, permette tramite i testi e i video delle sue canzoni di intravedere una società diversa e fatta di piccoli riti e quotidianità non occidentali,di piccoli dettagli e di incolmabili differenze che imparare una lingua come il russo ti insegna a notare e a rispettare.

Prima di regalarti la traduzione di questo bel testo, consentimi un’ultima nota sulla scia dei ricordi e del romanticismo, un saluto a persone senza le quali forse non leggeresti nessuna traduzione: ringrazio il prof. Ottogalli perché mi ha trasmesso passione, la prof.ssa Chakhtova per il suo ottimismo (bere un bicchiere di vodka è davvero la migliore cosa da fare prima di un’interpretazione importante) e la prof.ssa Nortman per colpa (!) della quale scappai per la prima volta a San Pietroburgo.

Ed ecco cosa ascoltavano in Unione Sovietica negli anni ’80 e ’90.

Viktor Tsoy – Chiudi la porta

Mi hanno detto che preferiscono non rischiare,
Hanno casa e la luce dentro casa è accesa.
Non saprei dire chi abbia torto fra di noi,
Per strada a me spetterà la pioggia,
Dentro casa a loro spetterà un pasto caldo.

Esco. Chiudi la porta.

Ma se un giorno ti stancherai di quella carezzevole luce,
Troverai posto fra noi, di pioggia ce ne sarà abbastanza per tutti.
Guarda l’orologio, guarda la foto appesa al muro,
Se tenderai l’orecchio alla finestra, sentirai le nostre risate.

Esco. Chiudi la porta.
Esco. Chiudi la porta.

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