Di Camilla Vecchione –

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Ci soffermiamo oggi su due delle differenti modalità d’interpretazione. A qualunque interprete è capitato, probabilmente più di una volta nella propria vita professionale, di aver ricevuto richieste di servizi di interpretazione definiti impropriamente.

Ad esempio, a me è stata richiesta una simultanea per tradurre trattative commerciali in fiera oppure una consecutiva per tradurre a una conferenza.

Questi esempi, anche se forse un po’ banali, ci mostrano che la confusione regna nei clienti che si trovano ad avere bisogno di un interprete per la prima volta. Il nostro obiettivo è, dunque, quello di fare chiarezza tra le varie modalità di interpretazione, di modo da rendere i possibili clienti consapevoli di quale modalità fa al caso loro. Oggi ci soffermeremo sulla modalità dialogica e sulla consecutiva. La settimana prossima sulla simultanea e sullo chuchotage (interpretazione sussurrata).

Nell’articolo della settimana scorsa abbiamo già accennato al concetto di interpretazione dialogica. Lo riprendiamo brevemente. Si tratta della modalità comunemente utilizzata in situazioni di dialogo, appunto, tra due persone che non parlano la stessa lingua ma che hanno bisogno di comunicare. Ognuno di loro parla per qualche secondo o un minuto circa, l’interprete traduce ciò che questo ha detto a beneficio dell’altro parlante che, a questo punto, prende la parola. Così, l’interprete traduce ciò che ha appena detto a beneficio dell’altro, che quindi interviene e così fino alla fine dell’incontro. Si tratta, quindi, di un dialogo mediato da un interprete, un “trialogo”, potremmo dire. Questa modalità è molto utilizzata in ambito commerciale (qui prende il nome di “trattativa”), medico-sanitario, turistico, giuridico e in qualunque situazione in cui vi siano due dialoganti di lingue diverse che hanno bisogno di un interprete per comunicare.

La modalità consecutiva è utilizzata, invece, in caso di monologhi o di dialoghi in cui i turni di parola sono più lunghi di un minuto. Pensiamo, ad esempio, a un discorso di ringraziamento davanti a un pubblico o a un’intervista bilingue. In tal caso, l’interprete si trova di fianco all’oratore o agli oratori e prende appunti (“note”, nel gergo) che servono da sostegno alla memoria. Terminato il turno di parola dell’oratore, che può durare fino a un totale di 7 o 8 minuti, l’interprete prende la parola e veste i panni dell’oratore stesso. Inizia, quindi, a ripetere il discorso nella lingua straniera, guardando le proprie note e appropriandosi delle parole dell’oratore. A quel punto, se l’oratore non ha finito il suo discorso, lo riprende mentre l’interprete, nuovamente, prende le note per poi tradurre e così via.

Ma come si prendono le note in consecutiva? Chi si approccia per la prima volta a questa modalità è colpito dal senso di ordine che queste trasmettono nella loro organizzazione ben strutturata e, al contempo, dall’indecifrabilità delle stesse. Ebbene, queste seguono convenzioni logiche, a livello temporale e sintattico, ma non semantico. Mi spiego meglio.

L’interprete scrive in ordine cronologico ciò che sente e, per farlo, segue una determinata struttura: soggetto-verbo-oggetto preceduti o seguiti dal tema della frase e dai vari complementi. Nelle scuole di interpretazione, come il DIT di Forlì (Università di Bologna) e la SSLMIT di Trieste vengono insegnate tali tecniche (qui estremamente riassunte e semplificate perché siano comprensibili anche ai non-addetti ai lavori). Ciò che non viene insegnato e deriva, invece, da decisioni totalmente autonome degli interpreti sono i segni utilizzati.

Tutti gli interpreti, infatti, per appuntare ciò che gli oratori dicono usano parole di tutte le lingue che conoscono, abbreviazioni, lettere dei più svariati alfabeti (latino, arabo, cirillico, giapponese e così via), simboli appartenenti a svariati codici (come quello stradale), faccine, frecce e simboli inventati dagli interpreti stessi. Ecco in basso a sinistra l’esempio di una pagina di note di un interprete. 

Ogni interprete crea, quindi, il proprio sistema di presa di appunti, i cui segni sono chiari solo e soltanto a lui/lei. Però, se è vero che tutti gli interpreti creano un proprio sistema di segni da usare per la presa di note e dispongono certamente di simboli precisi per concetti che tendono a ricorrere (come buongiorno, mondo, economia, ricchezza, persone, importante, aumentare, diminuire ecc.), molto spesso gli interpreti si trovano a utilizzare parole o simboli “on the spot”, per annotare un determinato concetto più raro, che di solito non sono chiamati a interpretare.

Pensiamo, ad esempio, al concetto di fotosintesi clorofilliana, che potrebbe costituire l’argomento centrale di una conferenza, ma che difficilmente il professionista ha dovuto interpretare in passato. Per tale concetto l’interprete utilizzerà un segno nuovo che, convenzionalmente, in tale occasione, significherà per lui/lei proprio fotosintesi clorofilliana. Tale segno, però, se letto fuori dall’evento per cui è stato creato, non avrà più un significato per lo stesso interprete che l’ha inventato.

Pertanto, è affascinante pensare che le note di consecutiva abbiano una struttura precisa ma, al contempo, un carattere fortemente personale e caduco. Queste, passano, infatti, dall’essere fondamentale sostegno per la memoria a perdere ogni valore semantico, diventando, quindi, incomprensibili anche per l’interprete che le ha prese.

Ecco concluso il nostro excursus sulle modalità di interpretazione dialogica e consecutiva.

Alla settimana prossima per capire meglio di cosa parliamo quando richiediamo un servizio di interpretazione in simultanea o di chuchotage!

One Reply to “Di quale servizio di interpretazione ho bisogno? (1) Dialogica e consecutiva”

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