Di Ilaria Campostrini –

Vi è mai capitato di finire al Pronto Soccorso durante una vacanza all’estero? O di esservi appena trasferiti in un paese di cui non parlate la lingua e aver bisogno di una visita medica? O ancora, di dover comprare dei farmaci e non capire le indicazioni del farmacista che parla una lingua a voi sconosciuta? In tutte queste situazioni è tanto utile quanto spesso trascurata la possibilità di rivolgersi ad un interprete professionista con esperienza in ambito medico. In questo articolo vi illustro chi è e come lavora un interprete in questo settore e quali sono le sfide maggiori che deve affrontare.

L’interprete di comunità

In letteratura, l’interprete che lavora in ambito socio-sanitario viene denominato interprete di comunità (o community interpreter), ma nelle strutture sanitarie italiane (ASL, ospedali, ecc.) si sente spesso parlare anche di mediatore (solitamente mediatore interculturale o mediatore linguistico-culturale). Ciò accade perché questa figura professionale non è definita dalla legge italiana, di conseguenza non c’è accordo su quale sia il termine corretto o più appropriato da utilizzare per indicarla. La mancanza di una definizione giuridica della professione comporta anche l’assenza di requisiti specifici per svolgere questo lavoro: ciò significa che, teoricamente, chiunque può prestarsi ad interpretare un incontro tra un operatore sanitario e un paziente. In effetti, nel settore medico, è molto comune fare ricorso ai cosiddetti interpreti ad hoc, persone che non hanno una formazione come interpreti o traduttori ma che conoscono le due lingue necessarie, in un determinato momento, alla comunicazione, e fungono quindi da interpreti. Queste persone sono spesso familiari del paziente, a volte anche bambini, che traducono come possono informazioni riguardanti malattie, farmaci, sensazioni fisiche del paziente… insomma, una bella responsabilità! Fortunatamente, nel corso degli anni, ci si è resi conto di questa importante lacuna nella legge e oggi alcune regioni italiane stabiliscono dei requisiti, tra i quali almeno un corso di formazione, e dispongono di liste ufficiali di persone in grado di svolgere la professione. Inoltre, è diventato più facile contattare gli interpreti al momento del bisogno, anche grazie alle innovazioni tecnologiche: sono sempre più utilizzate in ambito medico le modalità di interpretazione a distanza (telefonica e in videoconferenza), che consentono di reperire un interprete in poco tempo e ad un costo minore.

Ma che cosa fa veramente l’interprete di comunità? E perché è così rilevante rivolgersi ad un professionista?

L’interprete di comunità lavora in modalità dialogica, ovvero interviene nel corso di un dialogo tra due interlocutori che non parlano la stessa lingua, permettendo la comunicazione tra di loro. Solitamente, in questo tipo di interpretazione, l’interprete non ha bisogno del supporto delle note di consecutiva perché i turni di parola sono piuttosto brevi, come accade tipicamente in un dialogo. Tuttavia, l’interprete potrebbe ritenere utile avere con sé carta e penna per appuntare qualche numero o nome, informazioni che è più complicato trattenere nella memoria poiché non se ne può processare il significato assieme al resto del discorso. Ma non temete: egli è tenuto ad osservare l’obbligo di riservatezza, per cui tutti i dati personali e sulla vostra salute sono protetti dal segreto professionale ed è molto probabile che eventuali appunti presi vengano fatti sparire per sempre subito dopo l’incarico.

Il rispetto dei principi etici e deontologici è uno dei motivi più importanti per cui è sempre preferibile affidarsi ad un interprete professionista, specialmente in un ambito delicato come quello sanitario; tuttavia, ci sono anche ragioni tecniche per cui è imprescindibile aver seguito un percorso di formazione prima di svolgere questa professione. Innanzitutto, l’interprete di comunità deve avere una perfetta conoscenza non solo delle due lingue protagoniste di un’interazione, ma anche delle due culture coinvolte: gli elementi paralinguistici (gestualità, postura, contatto visivo…), i possibili argomenti di cui non è consono parlare (tabù), le consuetudini e le norme comportamentali, la maniera di affrontare il dolore fisico e quello psicologico-emotivo, sono solo alcuni degli elementi culturali che è necessario conoscere affinché la comunicazione avvenga con successo.

Un secondo aspetto che può causare difficoltà nell’interpretazione è la terminologia specialistica. Spesso, quando parlano, i medici sono tanto chiari quanto la loro calligrafia nello scrivere ricette (senza offesa), e questo avviene in particolare perché usano numerosi termini tecnici che non sempre spiegano ai pazienti in modo adeguato. Inoltre, fanno uso di sigle e abbreviazioni per essere più sintetici, a discapito della trasparenza del discorso. L’interprete di comunità conosce queste insidie e si prepara per affrontarle, studiando la terminologia e, soprattutto, comprendendo fino in fondo i concetti medici che poi, probabilmente, dovrà spiegare ai pazienti con parole più semplici.

Ultimo aspetto, ma non meno importante, è la conoscenza del sistema sanitario e del suo funzionamento, nonché delle sue differenze rispetto a quello del paese d’origine del paziente. Trascurare questi elementi potrebbe causare delle incomprensioni e impedire la comunicazione; in questo caso, il ruolo dell’interprete di comunità va oltre quello di “semplice” traduttore: egli diventa un informatore, in quanto anello di congiunzione tra il paziente e il sistema locale che questi non conosce.

Insomma, se in futuro doveste trovarvi in una delle situazioni menzionate all’inizio, ora sapete che sono tante, e spesso nascoste, le implicazioni del mestiere dell’interprete in ambito medico: pensiamoci bene, prima di lasciare la nostra salute nelle mani, o meglio, nella voce, di chi non le conosce o non sa come affrontarle.

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