Di Giulia Giacco –

Al giorno d’oggi ci sentiamo tutti poliglotti, immersi in un mondo fatto di jobs act, check-in, meeting, social network, brainstorming, flat tax e chi più ne ha più ne metta. Sentiamo di non essere mai stati così vicini all’inglese, la lingua internazionale per eccellenza, e ormai sono pochi coloro che dichiarano di non sapersela cavare con la lingua d’oltremanica. Ma è davvero così?

Sicuramente l’Italia ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni per migliorare l’offerta formativa linguistica ma siamo ancora fra gli ultimi posti in Europa per conoscenza dell’inglese[1]. Le lingue sono tutt’altro che semplici, lo dimostra il fatto che nessun software d’intelligenza artificiale riesca a eguagliare la macchina più potente al mondo, il cervello, nella loro comprensione; eppure troppo spesso le competenze linguistiche vengono sottovalutate e sacrificate in nome della spending review (sostanzialmente per risparmiare si preferisce affidarsi a chi non ha una conoscenza professionale adeguata).

Quali errori facciamo?

L’inglese è sicuramente semplice per noi da un punto di vista grammaticale e questo ci porta a sottovalutarlo. Gli italiani sbagliano perché pensano in italiano. Parlano usando vocaboli inglesi inseriti in strutture sintattiche 100% made in Italy. Per un professionista basta poco a capire se una persona riesce veramente a esprimersi in una lingua straniera; per quanto mi riguarda ho individuato cinque errori banali che mi permettono di capire se chi mi sta davanti conosce davvero l’inglese o pecca un po’ di presunzione:

Frasi troppo lunghe con decine di pronomi

Quanto più noi italiani amiamo dilungarci in frasi senza fine, tanto più gli inglesi ne stanno alla larga. Sembra impossibile ma ciò che ci risulta difficile è rimanere sul semplice! Nella lingua a stelle e strisce è preferibile formare diverse frasi corte e separarle da punti piuttosto che un periodo enorme legato da infinite congiunzioni.

Inoltre (lo so, sembra assurdo!) le ripetizioni in inglese son ben accette! Hanno parole talmente corte che ripeterle per loro non è assolutamente un problema, al contrario dell’italiano che cerca di usare quanti più sinonimi e pronomi possibili (questa frase appena conclusa poteva essere semplificata in inglese dividendola in due).

Esiste un bellissimo acronimo da tenere a mente quando si scrive/parla in English: K.I.S.S. = Keep It Short and Simple (parole chiave: sinteticità e semplicità).

Differenza fra sorry/excuse me

Quest’errore mi manda in bestia! La differenza fra le due espressioni è chiara ma non ci preoccupiamo di applicarla perché nella nostra lingua entrambe si traducono con “scusa/scusi”. Ho sentito persone dichiarare di avere un livello C1 d’inglese e poi chiedere “sorry, what time is it?”

Rispieghiamolo una volta per tutte: “Excuse me” serve per attirare l’attenzione, ad esempio in caso di una domanda, o per indicare di non aver compreso una parte di un dialogo; “sorry” si usa per le pure e semplici scuse (I’m late. Sorry! = Sono in ritardo, scusa!).

Stage

Questa singola parola mi permette di bollare una persona come finta conoscitrice dell’inglese, sembra crudele a dirsi ma è così. La stragrande maggioranza di agenzie di risorse umane chiama i neolaureati e propone loro d’intraprendere uno stage (/steɪdʒ/). Perché una persona sana di mente vorrebbe intraprendere un “palcoscenico”? Chi conosce l’inglese sa che un periodo formativo in azienda porta il nome di “internship” mentre in italiano si chiama “tirocinio”. E “stage” allora da dove viene fuori? Proviene dal caro e vecchio francese, lingua internazionale per molto tempo prima che subentrasse l’inglese, e dovrebbe dunque essere pronunciato come /staʒ/.

Parola-free

Ci manda in confusione una struttura linguistica che ha da poco fatto prepotentemente irruzione nella nostra lingua: aggettivo/sostantivo + trattino + free. Mi sono imbattuta in divertentissimi post di alcuni contatti sui social network che auspicavano un mondo children-free in cui i bambini potessero sentirsi liberi o fumatori incalliti che reclamavano spazi smoking-free. In realtà queste persone avevano scritto esattamente il contrario di ciò che intendevano: gli hotel child-free sono quelli che non ammettono bambini e gli spazi smoking-free non ammettono sigarette. Ci manda in confusione l’inesistenza di una struttura simile nella nostra lingua, così il cervello banalmente associa ciò che conosce come l’aggettivo “free” alla parola che viene prima, traducendo in italiano: “bambini liberi” e “fumo libero”.

I falsi amici

Concludiamo con l’errore forse più difficile da evitare quando si parla e non si ha troppo tempo per pensare: i falsi amici, vocaboli simili ai nostri ma che in realtà vogliono dire tutt’altro. Ce ne sono molti, farò solamente tre esempi:

  • Actually = usato in itanglese per “attualmente” ma vuol dire “in realtà, a dire il vero”;
  • Eventually = usato erroneamente come “eventualmente” ma vuol dire “alla fine”;
  • To pretend = non è il verbo “pretendere” ma “fare finta”.

Insomma, i poveri traduttori e interpreti (specialmente d’inglese) oggigiorno sono spesso bistrattati perché si sottovaluta la loro professione pensando “vabbé, ma tanto ormai l’inglese lo sanno tutti”. No, la verità è che pensano di saperlo tutti!
Bisogna chiedersi: qual è l’obiettivo della mia azienda? Puntare all’eccellenza o accontentarsi della mediocrità?

Infine, vi lascio con un video di qualche anno fa diventato famosissimo in cui un nostro politico si dilettava con l’inglese in un evento ufficiale facendo fare all’Italia una figura pessima. Non fate come lui, chiamate un professionista: siam qui per questo!

LinkedIn: linkedin.com/in/giuliagiacco

E-mail: giaccotraduzioni@gmail.com

Sito web: https://www.giuliagiacco.it/

[1] Fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2018-10-31/conoscenza-dell-inglese-alta-ue-ma-italia-e-francia-sono-ultime-192216.shtml?uuid=AErQAzYG

One Reply to “Tutti dicono di conoscere l’inglese: ma è davvero così?”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *