Di Giorgio Doveri

In un mondo dominato sempre più dalle immagini, dall’immediatezza della comunicazione e da tecnologie sempre più all’avanguardia, il mercato dei prodotti audiovisivi non solo è esploso, ma dalla metà del secolo scorso ha anche iniziato a varcare le frontiere nazionali per sbarcare su ogni sponda di ogni continente. Questo fenomeno ha coinvolto ogni settore in cui le immagini e le parole hanno maggiore importanza: dalle pubblicità ai videogiochi, dal cinema ai social network e così via.

Ognuno di questi settori, oggi, si trova ad affrontare un altro problema, legato non tanto alla qualità del lavoro artistico in sé, quanto alle barriere naturali poste dalle diverse lingue nei quali gli stessi prodotti possono essere commercializzati, pubblicizzati, venduti e fruiti.

Ed è qui che entrano in gioco i professionisti delle lingue, i cultori della parola, i traghettatori di concetti e di emozioni: i traduttori. Ma non traduttori qualsiasi, bensì traduttori in una veste ben specifica, quella di traduttori-adattatori. In una parola, i “sottotitolatori”.

Basta pensare alla mostruosa produzione di film e serie TV in lingua inglese, proveniente dagli Stati Uniti, per capire la portata di questo problema. Questa lingua, insegnata ormai a tutti i livelli dell’istruzione pubblica, è infatti tanto facile da usare durante la vacanza a Londra o New York, quanto difficile da capire nelle sue forme più articolate, alterate e talvolta estreme che tanto piacciono ai realizzatori americani. Chiunque non l’avesse studiata per anni e anni, ben oltre la fine della scuola dell’obbligo, troverebbe sicuramente impossibile capire solo una parola di quello che viene detto in un prodotto audiovisivo originale. Come rendere, allora, fruibile questo universo di parole incomprensibili ad un pubblico completamente nuovo e diverso, non solo da un punto di vista linguistico, ma anche da un punto di vista culturale?

La risposta sta, appunto nella traduzione, o per meglio dire nell’adattamento, dei dialoghi in lingua originale. Questa traduzione può essere poi volta al doppiaggio o alla sottotitolazione, con le dovute modifiche, per permettere la comprensione da parte degli utenti finali del film, della serie tv, o di qualsiasi altro prodotto audiovisivo.

No, i sottotitoli, no!

A questo punto, da italiani ci chiederemo: perché scegliere i sottotitoli piuttosto che il doppiaggio? Abbiamo degli attori così bravi che doppiano tutti i film e telefilm che arrivano in Italia, cosa dovrebbe spingerci a optare per quei fastidiosi sottotitoli che ci fanno storcere gli occhi, e che spesso sono pure fatti male, col risultato che buttiamo via dei soldi perché non ci capiamo niente del film?

Sono obiezioni legittime e più che giuste. Il dibattito infatti è vivo e acceso, tanto che il nostro continente si è da sempre diviso e si divide tuttora tra chi, come l’Italia, ha preferito storicamente il doppiaggio, e chi invece la sottotitolazione. Ognuno con i suoi buoni motivi.

Oggi assistiamo a un’inversione di tendenza praticamente ovunque. Chi usava solo i sottotitoli si è reso conto che questi portavano a un’ingerenza troppo grande della cultura di partenza (in cui è stato realizzato il prodotto) nella cultura di arrivo del pubblico. In poche parole, prestiti linguistici e forestierismi rischiavano di sostituire buona parte del lessico nativo, tramite un insegnamento forzato all’interno delle sale cinematografiche, compromettendo così la capacità di esprimersi nella propria lingua madre da parte degli spettatori. Chi usava solo il doppiaggio, d’altro canto, si è reso conto dell’esatto opposto: stava tagliando fuori un mondo intero legato a quella lingua che stava sistematicamente doppiando, e perciò eliminando.

Ecco perché le nuove piattaforme di distribuzione quali Netflix, Amazon video, Sky Go ecc. hanno iniziato, da qualche anno ormai, a sottotitolare tutti i loro prodotti, siano essi film, serie tv, pubblicità, trailer, annunci e così via.

I vantaggi della sottotitolazione

I sottotitoli non sono “semplicemente” un servizio a beneficio di sordi e ipoudenti, come nel caso della sottotitolazione per l’accessibilità realizzata da Rai e Mediaset, o della sottotitolazione intralinguistica (da italiano a italiano, o da inglese a inglese) nelle stesse piattaforme online sopracitate. Si tratta invece di un servizio moderno, di un gesto culturale quasi rivoluzionario. Poter scegliere di vedere i propri film e le proprie serie tv preferite in lingua originale, con i sottotitoli nella lingua che si preferisce, è un passo enorme verso la comprensione integrale di un’opera, verso la crescita personale e verso l’avvicinamento di due mondi e due culture, che sarebbero altrimenti separati da un muro invisibile.

Dando uno sguardo più tecnico al problema, si potrebbe anche parlare di un vantaggio linguistico-traduttivo a favore dei sottotitoli. Se la traduzione per il doppiaggio deve stare attenta a una serie di vincoli quali il lipsync, cioè la corrispondenza tra parole e labiale, la traduzione per sottotitolazione non ha questo problema e può, quindi, permettersi maggiore libertà di scelta delle parole. A questo modo, si possono evitare brutte storpiature dell’italiano, che tanto male hanno fatto alla nostra lingua[1].

Ovviamente, anche i sottotitoli sono sottoposti a delle limitazioni, che talvolta impongono di tagliare parti di dialogo originale, ad esempio. Tuttavia, sono rari i casi in cui queste limitazioni portano a incomprensioni o perdite pesanti di significato. I sottotitoli, invece, aiutano molto nel mantenere l’atmosfera (la forma) dei dialoghi originali, salvaguardando al tempo stesso la comprensione del significato (il contenuto) tramite la lettura del testo. E se sono ben realizzati, non si dovrebbero quasi percepire.

In un’ottica economica, il doppiaggio è ben più costoso rispetto alla sottotitolazione, in quanto il primo include il pagamento di più professionisti che diano le voci dei personaggi a un film che di per sé già ce le avrebbe. Al contrario, i sottotitoli possono essere realizzati anche da un solo sottotitolatore, con  l’uso di programmi gratuiti, ma con ottimi risultati e un risparmio considerevole.

E un adattamento più economico potrebbe significare un biglietto del cinema più economico.

Da non ignorare, infine, il fattore temporale. Un doppiaggio ben fatto richiede molto più tempo rispetto a una sottotitolazione della stessa qualità.

E, di nuovo, un adattamento più rapido potrebbe significare un’uscita più rapida nelle sale o su internet.

Il ruolo del professionista

Ma c’è un pericolo che si nasconde dietro questo idillio linguistico: il dilettantismo.

Il nemico della qualità e di ogni professione, forse persino peggio di Google Traduttore. È il sottotitolatore dilettante, colui che prende la lista dei dialoghi in lingua originale e la traduce “alla lettera” nella sua lingua, lasciando dietro di sé una scia di devastazione semantica e culturale.

Occorre, tuttavia, fare un distinguo importante: non stiamo parlando di fansubber, le simpatiche community di appassionati che si ritrovano sui forum per fornire una traduzione di servizio a serie che arriveranno nel loro paese solo dopo molti mesi o anni, se mai arriveranno, a beneficio loro e degli altri appassionati che non conoscono la lingua originale. No, qui stiamo parlando di sottotitolatori che si spacciano per professionisti, si fanno pagare come professionisti, per poi causare seri danni come nel caso esemplare del film “Roma” di Alfonso Cuarón, disastrato su Netflix in molteplici lingue[2].

Il caso citato è un estremo, ovviamente, poiché Roma è un prodotto molto complesso e difficile da rendere in un’altra lingua, per una serie di barriere linguistiche e culturali. Tuttavia, i sottotitoli dovrebbero servire a questo: smussare, ove possibile, gli angoli della lingua di partenza per rendere intellegibile il senso globale di quanto viene detto, senza ricercare l’imitazione del parlato. Così facendo, i sottotitoli non si sovrappongono all’audiovisivo originale, evitando pugni nell’occhio (o colpi dritti all’intelletto) dello spettatore. In caso contrario, si verrebbe a creare uno strano miscuglio a metà tra una traduzione per i sottotitoli e una per il doppiaggio. Quindi un qualcosa di incomprensibile, o di profondamente ambiguo, fuorviante, come nel caso di Roma.

Conclusione

I sottotitoli sono un’ottima alternativa al doppiaggio. Nel mondo di oggi in cui si allargano sempre più gli orizzonti, poter apprezzare un modo di parlare e di vedere le cose diverso dal proprio significa stare al passo coi tempi. E con le lingue straniere che diventano uno strumento d’uso quasi quotidiano per moltissimi di noi, avere un modo di “studiare” un idioma straniero divertendosi è un’arma formidabile.

Perché ciò sia possibile, però, è fondamentale che la sottotitolazione sia eseguita in modo corretto, e solo un professionista può garantire questo criterio di qualità.

Un professionista è sempre la scelta migliore per un prodotto di qualità, affidabile e che vale l’investimento fatto. Affidarsi ad un professionista significa dare valore al proprio lavoro, stando certi che questo non solo non sarà bistrattato, ma nei casi più rosei sarà addirittura migliorato.

Questo vale per qualsiasi professione, anche per la traduzione

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Doppiaggese

[2] https://www.tecnoandroid.it/2019/01/15/netflix-i-sottotitoli-in-spagnolo-del-film-roma-fanno-discutere-460777

https://beta.ataa.fr/blog/article/le-sous-titrage-francais-de-roma

One Reply to “La sottotitolazione professionale”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *