Di Maria Pina Iannuzzi –

Nelle parole di Milan Kundera i traduttori sono coloro che ci permettono di vivere lo spazio sovranazionale della letteratura mondiale, sono i modesti costruttori dell’Europa, dell’Occidente. Questo pensiero sarà sicuramente smisurato ma consente di riflettere su un mestiere di grande rilevanza, spesso bistrattato o poco considerato. Traduco narrativa da oltre dieci anni, è un lavoro solitario, uno spazio in divenire nel quale è fondamentale curiosare, interrogarsi ed ipotizzare. E ogni domanda porta con sé altre domande, spesso lasciandoci una soluzione a metà.

Tradurre letteratura è trasmettere pensiero, ideologia, diverse visioni del mondo. Quella del traduttore è la seconda mano, una mano invisibile che modella il testo: lo decodifica, lo interpreta, lo sminuzza. Un traghettatore di pensiero che entra nell’atmosfera dell’opera originale per poi ricostruirla, parola dopo parola, in un’altra lingua, ovvero la propria. L’attenzione è rivolta allo stile peculiare dello scrittore e alla ricerca continua di quello stesso ritmo che possa risvegliare echi del testo originale. Elemento essenziale nell’atto traduttivo è l’empatia, è la capacità di abitare contemporaneamente due mondi diversi come per un dono dell’ubiquità piovuto dal cielo, senza fermarsi al primo passo, quello dell’immersione nella propria interiorità, che porterebbe solo all’isolamento. Il processo traduttivo assume spesso quella dimensione conversazionale di cui parlava George Bataille, vale a dire, comunicazione intesa come dono tra due amanti, come passaggio ininterrotto e fatico da una lingua all’altra.

Trovandomi in questo luogo di frontiera che la traduzione spesso rappresenta, chiusa nel divenire di pagine e pagine, si apre a me la possibilità di intercettare suggestioni di una cultura e trasferirle in un’altra senza perdere mai di vista il movimento di entrambe.  A volte avverto la ben nota sindrome della parola che manca, testimonianza forse di quanto profondo e costante sia, per un traduttore il sogno dell’unità, in questo caso l’unità delle lingue. E tuttavia la traduzione si compie e prende la sua strada. L’atto del traduttore – atto mancato e atto potente al tempo stesso- avvia per l’opera, per ogni opera, la sorte benedetta della migrazione, il suo passaggio ad altro, il suo divenire teoricamente inesauribile.

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