Di Federica Vanin

Post-editing, traduzione assistita e l’eterna rivalità tra linguisti e computer

Tra i luoghi comuni legati al settore della traduzione, il più gettonato è probabilmente quello dell’estinzione dei traduttori: con la qualità delle traduzioni di Google e DeepL che migliora di anno in anno, la professione del traduttore sembra essere destinata a scomparire. Oggi, infatti, chiunque possieda un computer è in grado di ottenere una traduzione perlopiù scorrevole e dall’aspetto corretto in pochi clic.

Tuttavia, la confusione su questo tema è ancora grande, soprattutto tra i linguisti che aspirano a una carriera nel mondo della traduzione. Con questo articolo proverò a fare un po’ di chiarezza, cercando di rispondere a tre domande in particolare: qual è il livello di qualità di una traduzione automatica? Che differenza c’è tra post-editing e traduzione assistita? Perché un traduttore professionista dovrebbe servirsi dell’intelligenza artificiale (e perché no)?

La qualità di una traduzione automatica

Traducendo un testo con due motori di traduzione automatica distinti, difficilmente si otterrà lo stesso risultato. Infatti, se da una parte le due traduzioni si somiglieranno perché il processo di traduzione automatica tende a ricalcare la struttura sintattica del testo di origine, dall’altra si noterà che ogni strumento ha le sue carenze e i suoi punti di forza specifici. DeepL, per esempio, restituisce frasi scorrevoli, che non “sanno di traduzione”, purtroppo però genera spesso errori di analisi dei pronomi e di punteggiatura. Uno dei difetti maggiori di Google Traduttore, invece, è probabilmente la scarsa precisione lessicale e terminologica, che abbassa notevolmente la qualità del testo finale.

Tra i problemi più frequenti troviamo, poi, quelli legati alla localizzazione di elementi distintivi della lingua (e della cultura) di origine, come le unità di misura o le date, alla disambiguazione, per cui una stessa parola può avere significati diversi in contesti diversi, o all’iper-traduzione di elementi della frase che dovrebbero rimanere inalterati, come i nomi di marchi o di persone. Dietro l’apparente correttezza delle traduzioni automatiche, quindi, ci sono ancora molti aspetti da sistemare prima che queste raggiungano il livello di qualità della traduzione umana. Ecco perché il nostro apporto è ancora indispensabile.

Post-editing vs traduzione assistita

Il traduttore contemporaneo finisce quindi spesso per essere un vero e proprio correttore del traduttore automatico, più o meno come farebbe per la revisione della traduzione di un collega. Questa operazione si chiama post-editing, anche conosciuto come MTPE o MT Post-Editing (Machine Translation Post-Editing) e può essere light oppure full, a seconda del livello di qualità che si desidera raggiungere. Il light post-editing è richiesto per testi destinati all’uso interno o privato, per cui non è necessaria la precisione di un documento ufficiale, per esempio, o la scorrevolezza di un testo destinato alla pubblicazione. Vengono apportate modifiche relative alla pura correttezza grammaticale del testo e corretti eventuali controsensi. Con full post-editing si intende, invece, un intervento volto a raggiungere la qualità di una traduzione umana. Oltre a grammatica e contenuto, vengono quindi curati anche lo stile, il lessico e altri elementi necessari a “mascherare” l’origine automatica della traduzione.

Il post-editing non va confuso con la traduzione assistita, ovvero quella realizzata servendosi dei celeberrimi CAT tool, vale a dire tutti quegli “strumenti di traduzione assistita dal computer”. Questi programmi, frutto delle nuove tecnologie nel campo della traduzione, sono scaricabili sul proprio computer o utilizzabili online e permettono al traduttore di recuperare parti di frasi o frasi intere già tradotte e immagazzinate in precedenza. Questo processo è reso possibile grazie alle memorie di traduzione, delle banche dati in cui vengono archiviati i testi già tradotti, con i frammenti dei testi originali affiancati dalle loro rispettive traduzioni. Nulla di automatico, dunque, dal punto di vista linguistico, poiché le traduzioni riproposte dal CAT tool sono frutto del lavoro precedente svolto da un traduttore umano. Alcuni dei programmi più utilizzati dai traduttori di tutto il mondo sono per esempio Trados, memoQ, Memsource, Wordfast.

Tuttavia, sempre più spesso traduzione assistita e post-editing finiscono per intrecciarsi grazie all’integrazione di motori di traduzione automatica negli stessi CAT tool. Il traduttore può così sfruttare l’output del traduttore automatico mentre lavora nell’ambiente CAT e visualizzare allo stesso tempo i suggerimenti della memoria di traduzione, nonché consultare eventuali basi terminologiche o glossari aggiunti al programma per garantire la precisione lessicale.

Vantaggi e svantaggi dell’intelligenza artificiale applicata alla traduzione

Da quanto detto finora è facile intuire quanto le nuove tecnologie di intelligenza artificiale possano aumentare la produttività di un traduttore. Il tempo e lo sforzo che memorie di traduzione e traduttori automatici permettono di risparmiare sono abbastanza consistenti: meno traduzioni ripetitive, meno problemi di coerenza intratestuale e qualche occhiata in meno al dizionario. L’uso di questi strumenti, tra l’altro, è una competenza sempre più richiesta sul mercato. La maggior parte delle agenzie di traduzione lavora con un CAT tool e il post-editing è molto utilizzato soprattutto per progetti di carattere tecnico e informatico.

All’aumento della produttività corrisponde però un abbassamento delle tariffe: permettendo di trattare fino al doppio delle parole per ora di lavoro, questi servizi hanno una tariffa sul mercato proporzionale, che arriva fino a metà della tariffa a parola di una traduzione umana. Non si tratta necessariamente di uno svantaggio per il traduttore, ma resta importante esserne consapevoli per trovare l’equilibrio giusto per ciascuno.

Infine alcuni ritengono questo tipo di traduzione troppo meccanico, perché toglie al traduttore il gusto di creare con la propria mente e, nel caso del post-editing, lo trasforma praticamente in un “tecnico” della lingua. E questo è probabilmente l’argomento principale contro l’adozione di sistemi di traduzione assistita o automatica. Non dimentichiamo però che non tutti gli ambiti della traduzione vengono (e, a mio parere, verranno mai) toccati da questo fenomeno: cercare di tradurre un testo letterario con Google sarebbe un’impresa a dir poco disastrosa. Lo stesso vale per uno slogan o un titolo in prima pagina (il “Finger-lickin’ good” di KFC, per esempio, era stato tradotto in cinese come “Mangiati le dita”). Per quanto riguarda la traduzione tecnica e specializzata, invece, servirsi delle tecnologie che abbiamo a disposizione oggi può giovare sia al traduttore che al suo cliente, riducendo almeno in parte sforzi, tempi e tariffe.

È chiaro che la professione del traduttore cambia aspetto con l’introduzione dell’intelligenza artificiale nel settore dei servizi linguistici: non dobbiamo più scrivere a macchina e spedire dattiloscritti, sfogliare mille dizionari o consultare esperti di settori particolari. Questo rischia senza dubbio di disorientarci, ma per sentirci meno minacciati potremmo interpretare questo cambiamento non come una sostituzione del traduttore con il computer, bensì come una trasformazione del suo ruolo che può anche avere risvolti positivi, trasformando così la rivalità tra linguisti e computer in un rapporto pacifico di reciproca collaborazione.

 

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